Colgo l’occasione per tornare su una serie di argomenti che mi stanno a cuore e spiegarvi qualcosa che aleggia sotto al nostro naso, passando (ingiustamente) in totale anonimato. Eppure, solo adesso, si inizia di nuovo a parlarne senza comprenderne le reali potenzialità.
Ho letto poco tempo fa un articolo pubblicato su Orizzonte Scuola che annunciava “l’arrivo” dell’Umanista Digitale a scuola (LInk all’articolo https://www.orizzontescuola.it/arriva-la-figura-dellumanista-digitale-in-ambito-scolastico-ecco-il-nuovo-corso-di-laurea-magistrale/) con il quale si da notizia di un nuovo corso di Laurea Magistrale in Digital Humanities.
Eh si, benissimo, peccato che noi lo abbiamo già fatto anni fa. Almeno, per quanto mi riguarda, ho conseguito il Dottorato proprio in Digital Humanities nel 2018. Ciò significa che ho iniziato questo percorso nell’ormai lontano 2014. Giusto qualche anno fa. Ma per il momento, in Italia, le DH sono passate totalmente sotto silenzio.
Pensiamo che invece, mentre all’Università si lavora ancora secondo una didattica molto tradizionale, è nella scuola che i progetti digitali ricevono sempre più attenzione. Vengono avviate classi digitali, si richiedono agli insegnanti competenze in materie tecnologiche e digitali, competenze che anche il docente di sostegno deve ormai avere al fine di adattare la didattica a diverse tipologie di necessità cognitive e di apprendimento.
Insomma, questo lavoro esiste da anni, a fatica ne promuoviamo l’importanza e, ogni tanto, se ne esce fuori un corso di formazione, un corso di laurea o un altro corso di Alta Formazione … per carità, meno male mi viene da dire! Tuttavia ci terrei a ricordare che esistono persone con un Dottorato di ricerca in questa disciplina, il titolo più alto riconosciuto al momento in Italia per il quale si viene considerati ancora dei “gregari”.
Dei gregari … ma evidentemente indispensabili.
Una strana cosa: le Digital Humanities
Spesso mi trovo di fronte a persone che mi domandano: “Che cosa sono queste Digital Humanities? Che cosa fate e come lavorate?” ma la domanda peggiore, in assoluto, quella che mi fa venire l’orticaria tutte le volte che la sento, suona un po’ così: “ma c’è lavoro???”. Al sopraggiungere di questa frase inizia il prurito in tutto il corpo e, un po’ amareggiata, un po’ scazzata anche, ma con tanto self-control cerco di formulare una risposta comprensibile per la persona che mi sta davanti e che mi sta guardando come si osserva uno strano animale. Mi viene quindi in mente Rocco Schiavone quando, guardando le persone, inizia a descriverne l’aspetto filosofeggiando in latino. Ecco, più o meno mi sento così!
Proverò quindi nel limite delle mie possibilità a fare chiarezza su cosa siano le Digital Humanities, o quanto meno, vi dirò cosa e chi a mio avviso dovrebbe essere un Umanista Digitale.
Il concetto è sostanzialmente uno: l’Umanista Digitale mette in relazione gli studi umanistici con l’informatica e con le nuove tecnologie digitali. E’ un ponte di collegamento tra le discipline che ha competenze culturali, organizzative, manageriali e digitali. Ma soprattutto, fonda il suo lavoro sulla cultura e proprio per questo ha la capacità di sapere COSA chiedere a un informatico e COME farglielo realizzare in totale collaborazione.
Una storia CON combattimento
Facile? Non proprio.
Prendo a prestito il titolo di un libro scritto da Caludio Marra sulla fotografia per introdurre l’argomento di questo articolo.
Le tecnologie digitali e informatiche, che stanno prendendo sempre maggiore campo nel mondo odierno, hanno aperto nuove possibilità di studio e ricerca nei settori dei beni culturali dal momento che, pur restando ancorati a forme più tradizionali di ricerca, si configurano come strumenti di tipo collaborativo, infatti, a modificarsi è proprio la prassi umanistica, costretta a rivedere materiali e oggetti del proprio corpus per adattarsi alle nuove esigenze, in particolare citiamo le seguenti:
- Conservazione
- Valorizzazione
- Reperibilità delle informazioni
Che cosa sono le discipline umanistiche?
Le discipline umanistiche tra le quali si annoverano letteratura, storia dell’arte, filosofia, retorica, storia, musica e design, indagano importanti aspetti legati al valore, al significato e all’essenza delle cose affiancando il giudizio soggettivo a verità verificabili e a dati oggettivamente misurabili (Umanistica_Digitale, Mondadori, 2014).
All’interno di queste macro categorie si inseriscono quindi una serie di specializzazioni e azioni che portano inevitabilmente alla nascita di nuove figure professionali, uno scenario in costante mutamento che richiede professionisti in grado di muoversi contemporaneamente in più ambiti, con competenze dette anche multi-skilled. Se nel mondo del lavoro il multitasking non è visto di buon occhio, in questo campo la multidisciplinarietà e la capacità di muoversi su più fronti diventa fondamentale. Umanisti, progettisti e informatici svolgono quindi un ruolo cruciale nella definizione delle caratteristiche di un nuovo tipo di conoscenza.
Attenzione, perché si è creata molta confusione in merito alle capacità e alle competenze che certe figure professionali devono avere; vi è un grande caos riguardo alle skills e alla formazione che un Umanista Digitale deve acquisire per ritenersi tale.
Sembra infatti che in Italia si sia instaurata una “lotta” tra ingegneri sostenitori della tecnologia e umanisti, senza che vi sia realmente la capacità di lavorare in sinergia, ognuno con le sue competenze, per lo scopo finale. Così da parte degli ingegneri non è possibile che l’umanista manchi di formazione informatica, un pensiero che distorce interamente le potenzialità degli umanisti stessi, relegati, come anticipato, a ruolo di “gregari”. Non so se sia capitato anche a voi, ma a me è successo spesso di fare ricerche in questo settore, di guardare le proposte di lavoro di aziende del settore informatico con mire umanistiche, e tra le posizioni aperte trovare quasi esclusivamente le seguenti diciture: cercasi programmatore; cercasi programmatore con esperienza, cercasi tecnico informatico con almeno cinque anni di esperienza, se non hai i seguenti requisiti non ti presentare nemmeno … e altre varie ed eventuali.
Quindi, fatemi capire: vi occupate, o sostenete di occuparvi, di progetti artistici e valorizzazione dei beni culturali o beni aziendali, ma non avete mai necessità di un “umanista”? Poniamo caso che ne abbiano già a disposizione uno in azienda, ma è un tuttologo? Non credo. Il problema è che per andare al risparmio, invece di investire sull’intelligenza creativa, si investe esclusivamente su quella scientifica relegando gli umanisti a meri segretari, se non addirittura ad escluderne la partecipazione dai progetti. La figura dell’Umanista è dunque ancora meramente accessoria e solo un’azienda grande (eventualmente) e con molte risorse può permettersi il lusso di integrarla all’interno del suo organico.
Una necessità importante: fare chiarezza sui ruoli
La verità però, che come vedete non corrisponde alla realtà, è molto diversa da questo.
Per una realtà aziendale che si occupa di progetti in questo settore, non si può fare a meno degli Umanisti; non si può lavorare solo con consulenze ministeriali, servono figure specializzate che abbiano la duttilità e le conoscenze di ricerca adeguate allo sviluppo di soluzioni creative e specializzate, un compito che spetta di diritto agli Umanisti.
Informatici e Umanisti non devono quindi entrare in conflitto giacché essi sono entrambi necessari alla costruzione delle Digital Humanities che, per propria conformazione e struttura, prevedono il necessario contributo di entrambe le figure in un clima di reciproco scambio e collaborazione. L’Umanista infatti che si dedica alle Digital Humanties è un esperto storico dell’arte che, pur non lavorando da informatico, possiede le conoscenze necessarie per sapere che cosa chiedere, possiede i prerequisiti per impostare, progettare e gestire un progetto ponendosi come necessario ponte di conoscenze tra il mondo analogico e quello digitale.
Non è quindi necessario che, a tutti i costi, l’Umanista sappia a mena-dito il linguaggio Java o HTML, non deve necessariamente essere un operativo, il suo è un ruolo diverso, che deve essere compreso e valorizzato per la sua professionalità culturale, progettuale, manageriale e di problem solving.
L’Umanista è infatti colui che mette le idee, che crea i concept di progetto, che costruisce il lavoro sapendo esattamente che cosa chiedere agli informatici con i quali intrattiene un rapporto professionale al fine di costruire un connubio progettuale che porta le due figure a lavorare insieme, come se fossero una sola.
Se è vero che l’Umanista può non necessariamente essere un informatico, vero è anche il contrario: un informatico non deve necessariamente essere un Umanista, ma ciò che può fare è avere la capacità di comprendere le esigenze di quest’ultimo ed elaborarle con le proprie conoscenze per tradurle in linguaggio digitale. Va da sé che entrambe le figure si contaminano a vicenda e che, con l’esperienza, entrambi potranno accrescere la propria conoscenza sulle rispettive materie.
Il punto è che il nostro paese dovrebbe sviluppare un po’ più di lungimiranza su certe cose, esattamente come per molti altri problemi dai quali non si riesce a uscire perché si pensa di scalare la montagna senza prima essersi allacciati le scarpe, lo stesso motivo per il quale non si ha un piano politico con una programmazione forte e pluriennale sulle energie rinnovabili, sul verde, sulla disabilità e altro (di cui parleremo in prossimi articoli). Il mondo del lavoro va convertito; le figure professionali preparate esistono, ma bisogna farle lavorare e avviare questo processo di modernizzazione digitale tanto agognato, ma per il quale nessuno sta facendo i passi giusti e necessari a sostenerlo.
Fortunatamente qualche buona iniziativa si muove, tra queste è da citare il lavoro dell’AIUCD – Associazione per l’Informatica Umanistica e la Cultura Digitale che da anni diffonde la cultura digitale a livello teorico e metodologico (link al sito: http://www.aiucd.it/) ; ma è anche da citare la recente nascita di LuDICA, il laboratorio di Informatica Umanistica dell’Università di Cagliari (Link al sito: https://ludica.dh.unica.it/). Si tratta di progetti seri, strutturati e attivi sul territorio dei quali vi invito a seguire le iniziative.
Per quanto mi riguarda non possono esistere le Digital Humanities senza la piena collaborazione delle due figure tecniche e umanistiche giacché questo connubio porta ciascuno a valorizzare al meglio le sue specializzazioni e la propria professionalità dando vita a progetti di insieme, complessi e articolati. D’altra parte nessuno impedisce a un Umanista di interessarsi di informatica e viceversa, ad un informatico di apprezzare l’arte e imparare a conoscerla; certo è che comunque, nessuno dei due può (e in alcun modo deve) sostituire l’altro.
La mia personale esperienza negli anni del dottorato mi ha dato la possibilità di riflettere su questi aspetti e di comprendere quanto sia realmente importante, oggi più che mai, la presenza di figure professionali ibride che abbiano una visione a 360° del progetto e che siano in grado di dirigere le forze in campo per raggiungere l’obiettivo. Queste figure hanno un nome e si chiamano Digital Cultural Manger; si tratta di professionisti completi, che programmano, curano e gestiscono azioni di valorizzazione culturale in diversi ambienti e contesti. Ciò significa che una formazione come quella dello storico dell’arte specializzato in Digital Humanties garantisce la preparazione necessaria per occuparsi di diverse categorie di beni che non siano esclusivamente storico – artistici; ossia, essi hanno le competenze manageriali per occuparsi di altre tipologie di beni quali i beni della moda, i beni aziendali, le collezioni digitali, i patrimoni documentali ecc… Queste figure integrano quindi le competenze culturali con le conoscenze tecniche e strategiche portando qualità e professionalità all’interno del team di lavoro.
E’ indubbio che in un mestiere come questo, a mio avviso, le caratteristiche personali facciano un buon 90% del lavoro.
Un progetto digitale per la ricerca tra storia della critica d’arte, fotografia e informatica
Ho avuto la possibilità di svolgere questo compito durante i lavori per la mia tesi di dottorato, forse sono stata particolarmente fortunata, ma ho avuto modo di lavorare a un vero e proprio progetto di DH grazie alla collaborazione con uno studente del corso di laurea magistrale di informatica all’Università di Genova, il dott. Simone Nunzi che ringrazio infinitamente per la collaborazione e il rapporto di amicizia che da qui è nato.
Ai tempi, su richiesta del dottorato, bisognava realizzare un elaborato di tesi finale che mettesse in relazione teoria e pratica, nel mio caso, storia della critica d’arte e informatica. Per la tesi dottorale mi sono occupata della ricostruzione storica del lavoro della prima docente di storia dell’arte a Genova: Giusta Nicco Fasola. Personaggio sconosciuto ai più, man mano che mi addentravo nella sua biografia è emerso il profilo di una donna di estremo interesse; ne ho approfondita la vita scoprendo risvolti interessanti anche a livello politico, ne ho studiata l’attività accademica e didattica approfondendo l’utilizzo della fotografia per lo studio della storia dell’arte e molto lavoro sarebbe ancora da fare). Su questo filone di ricerca ho in seguito orientato i miei studi seguendo corsi di Alta Formazione in alcune tra le più prestigiose sedi italiane dedicate alla storia della fotografia e agli archivi fotografici di storia dell’arte, uno tra tutti la Fondazione Federico Zeri di Bologna. Qui ho approfondito le tecniche di studio sui materiali fotografici che ho cercato di applicare anche nel mio lavoro di tesi, ampliando la conoscenza di determinate tematiche sull’informatica digitale, sull’archiviazione e la conservazione oltre che sulle possibilità di valorizzazione di percorsi transdisciplinari che vedono fondersi storia della fotografia e storia dell’arte.
Dopo aver studiato e frequentato corsi di approfondimento ho capito come avrei potuto mettere insieme la teoria con la pratica, la ricerca storica con quella tecnologica. Così seguita dalla mia tutor informatica mi sono incontrata nel suo ufficio con Simone e abbiamo iniziato a parlare del progetto. Quello che volevo fare era costruire un progetto per l’università dal momento che il centro del mio studio era proprio il materiale fotografico ivi conservato.
Ma come realizzarlo?
Ho analizzato la situazione guardando che cosa poteva mancare all’Università di Genova: un archivio digitale che non fosse un mero contenitore di materiale, ma un luogo attivo che potesse evolvere in piattaforma di lavoro e studio per tutti gli studenti che non conoscono ancora il potenziale del materiale fotografico per la didattica, restituendo così all’istituzione un rinnovato e aggiornato luogo di lavoro. Bisognava dunque creare una piattaforma che fosse collegabile al sito dell’Università facilitando l’accesso a collaboratori e studenti.
Cosa avrebbe dovuto ospitare questa piattaforma?
Anzitutto lo strumento avrebbe dovuto supportare un sistema catalografico digitale per tutti i beni fotografici della fototeca dell’istituto con un sistema che fosse sufficientemente flessibile per essere adattato anche ai beni documentari. Per contenere i costi la piattaforma doveva quindi essere gratuita e Open Access così da poter essere aggiornata senza particolari difficoltà. Ho espresso a Simone queste necessità e abbiamo iniziato a lavorare insieme per valutare le piattaforme disponibili. Le abbiamo studiate nel dettaglio producendo schede di analisi e alla fine abbiamo scelto il sistema che rispondeva meglio alle nostre esigenze. Abbiamo dovuto adattare la scheda catalografica alle voci esistenti integrandone di nuove e intervenendo sul modello base al fine di inserirvi diverse possibilità di utilizzo (blog di lavoro, chat di gruppo, indagini e collegamenti gravitazionali con contenuti studiati ad hoc ecc…). Fondamentale è stata inoltre la possibilità di installare un collegamento GIS navigabile direttamente dalla piattaforma come archivio spaziale di immagini che avrebbe potuto in questo modo arricchire l’offerta nei confronti di potenziali studenti. Ma non solo, avevamo anche ideato un sistema gravitazionale che permetteva di creare visivamente collegamenti tra schede interne relative alle conoscenze di Giusta Nicco Fasola in Italia. Questo sistema permetteva quindi di restituire in tempo reale le connessioni tra storici dell’arte sul territorio nazionale determinando un utile supporto allo studio delle influenze didattiche e di ricerca tra docenti dei diversi atenei italiani.
Per realizzare tutto ciò io e Simone abbiamo dovuto lavorare in totale sinergia, in presenza o da remoto, abbiamo dialogato e trovato la via giusta per integrare le nostre conoscenze e le nostre esigenze, motivo per il quale se facevo delle richieste, lui sapeva esattamente rispondermi per dirmi cosa poteva essere fatto e come. E’ stata un’esperienza fantastica non solo perché Simone è una bravissima persona e un tecnico sopraffino, ma perché si è instaurato un rapporto professionale di integrazione delle competenze che, chi lavora con le Digital Humanities, dovrebbe sempre ricercare nel proprio lavoro.
Valorizzare le competenze e creare posti di lavoro
Per me le Digital Humanities sono questo, un connubio perfetto di professionalità diverse che devono compenetrarsi e comprendersi; spero che molti ragazzi possano fare le mia stessa esperienza e comprendere come si debba lavorare in questo settore, ma ancora di più, spero che lo capiscano le aziende, le istituzioni e tutti coloro che intendono muoversi nel campo della cultura che, senza gli umanisti, non può progredire.
Vi aspetto qui sul blog per approfondire l’argomento!
Seguimi anche su Instagram e su Facebook!